PREGHIERA E AFFEZIONE

Continuiamo a pubblicare alcuni pensieri di don Luigi Maria Epicoco. 

Terza e ultima caratteristica che vorrei condividere con voi è l’affezione. Io so che è una parola un po’ desueta, quasi ottocentesca. Che cos’è l’affezione? Affezione significa che la preghiera deve diventare una partecipazione affettiva alla vita di Dio, cioè deve coinvolgermi nei miei affetti e non soltanto a livello intellettuale, perché altrimenti sarebbe un atteggiamento gnostico la nostra preghiera. La preghiera è vera quando ci coinvolge in maniera affettiva. E sentite come ci aiutano i santi. Padre Pio, per coltivare questa dimensione affettiva nei confronti di Cristo, si inventava modi per voler bene a Lui… pensate alla giaculatoria. Che cos’è la giaculatoria? È una frase breve, a volte è una frase che non ha grandi significati, ma è carica di amore, è carica di una potenza affettiva e la persona che la pronuncia, la pronuncia per esprimere l’amore, per rafforzarsi nell’amore. Se una persona che non ama sente parlare due innamorati comincia a dire: «Oddio, ma questi che si dicono “ste frasette”…mamma mia, basta! Non sono sopportabili…». Perché non amando non riesce a comprendere che chi ama ha bisogno di esprimere in maniera affettiva il suo amore. Io mi domando se la nostra preghiera è una preghiera affettiva, oppure è semplicemente una preghiera emozionale, che non è la stessa cosa degli affetti. Emozionale significa che noi andiamo a cercare le emozioni; le cerchiamo per noi stessi. La preghiera affettiva, invece, è esprimere l’amore per indirizzarlo a qualcuno. Allora capite che la visita al Santissimo Sacramento non è una pia devozione. È un modo di dire: «Quei due minuti che vado davanti al tabernacolo, lo faccio esattamente per rafforzare il mio legame affettivo con Lui. Signore sai perché sono venuto qui? Perché non voglio niente, voglio amarti e voglio farti compagnia un po’, perché mi manchi».

Fermarsi durante il lavoro e dire al Signore: “Ti amo, Signore, mia forza” significa non cercare grandi cose se non quello di esprimere l’amore, rafforzarsi nell’amore. Insomma, noi dovremmo imparare che l’autentica preghiera è tale quando è semplice e quando è affettiva, quando ci coinvolge anche nei nostri affetti.

Penso che tutti noi, almeno una volta, abbiamo fatto esperienza nella nostra vita che amare non è mai facile. Pensate a una madre che a volte è stanca e nonostante questo deve accudire i figli. Però lo fa; nonostante questo deve cucinare. Però cucina. Nonostante questo deve essere l’ultima che spegne la luce, e lo fa. Emotivamente non sta provando niente se non stanchezza, a volte confusione, a volte frustrazione. Però lo fa. E lo sapete perché lo fa? Perché ama. Questo è il suo modo di esprimere la sua affezione nei confronti dei figli: fare delle cose anche quando non gli viene perché è stanca, ma lo fa perché li ama.

Ecco, nella preghiera funziona nello stesso modo. Se tu fai le cose soltanto quando te le senti di fare…eh, stiamo freschi! Se dovessimo amare così una persona…ci abbandonerebbe dopo due giorni. Voler bene a qualcuno significa coltivare, decidere di amare affettivamente qualcuno, a volte mettendosi anche un po’ contro noi stessi, contro quello che noi possiamo provare in quel momento.

La preghiera non è una iniziativa nostra, è una iniziativa dello Spirito e lo Spirito solitamente suscita la preghiera dentro di noi facendoci desiderare di pregare, anche quando non ci riusciamo. Ma questo desiderio non può semplicemente rimanere un desiderio, ha bisogno di diventare un fatto.

Dobbiamo imparare ad essere nudi e crudi per poter pregare, dobbiamo imparare ad abitare il nostro vuoto. Poi dobbiamo smettere di essere concentrati su noi stessi e dobbiamo capire che non preghiamo perché stiamo cercando qualcosa per noi, ma perché stiamo cercando un altro, stiamo cercando chi amiamo. Non stiamo cercando semplicemente noi stessi. E comprendere così che la preghiera è una relazione con Dio, non una relazione con il nostro “io” più profondo.

 

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