CON RARA UMANITÀ

Carissimi,

ogni volta che leggo il capitolo 28 degli atti degli apostoli, che racconta l’arrivo faticoso di Paolo e dei suoi compagni di viaggio a Malta, non posso fare a meno di emozionarmi quando leggo l’espressione: “Ci trattarono con rara umanità”.

Che cosa hanno fatto di così straordinario gli abitanti di Malta? La risposta ce la dà il testo biblico: «Una volta in salvo, venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e faceva freddo». Hanno acceso un fuoco perché pioveva e faceva freddo: un gesto semplice e gentile. Ecco la rara umanità che mi affascina.

Le nostre parrocchie conoscono la carità eroica, fatta di premure per i poveri, di raccolte a sostegno di iniziative della Caritas o di qualche realtà missionaria, conoscono la dedizione disinteressata verso alcune realtà delicate. Anche gli abitanti di Malta daranno con grande generosità a Paolo e ai suoi compagni il necessario per riprendere il viaggio. Ma quello che fa parlare di rara umanità è la squisitezza dell’accoglienza racchiusa in un semplice gesto: far mettere delle persone infreddolite attorno a un fuoco acceso apposta per loro!

Mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, per l’anno pastorale 2019/2020 ha scritto una lettera pastorale sul tema delle relazioni a cui ha dato un titolo curioso: “Vuoi un caffè?”.

Immagina la scena di chi incontra una persona per strada o la accoglie in casa sua e le propone di prendere un caffè.

Il gesto semplice dell’offrire un caffè dice che ho tempo per l’altro, che mi fa piacere fermarmi a parlare con lui o con lei. Costa pochissimo un caffè, ma offrirlo racchiude la gratuità di chi non si preoccupa di sapere se il suo gesto verrà ricambiato, perché il suo cuore è pervaso dal piacere di intrattenersi con l’altro. E mentre prendi il caffè parli e ascolti. Ecco l’incontro, ecco la relazione. E tutto parte da un gesto gentile...di rara umanità.

Dal 23 febbraio 2020, all’improvviso, non abbiamo più potuto abbracciarci, stringerci la mano. Poi è arrivata la quarantena che ci ha allontanato fisicamente. È stato allora che abbiamo capito di avere bisogno gli uni degli altri.

Ecco, dunque, il secondo punto del nostro protocollo: la relazione tra le persone. E il tema di questa “rara umanità” mi permette di suggerire questi passaggi:

1. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno della nostra comunità, tra i vari collaboratori, tra i vari fedeli. È necessario che tutti possano dire che è bello stare insieme e ritrovarsi nella nostra parrocchia. Al di là del carattere di ognuno di noi sapremo dare spazio alla gentilezza e alla cordialità? I diversi gruppi sapranno stimarsi a vicenda e apprezzare l’impegno degli altri sostenendolo sinceramente? Le diverse realtà parrocchiali sapranno fare un passo indietro in nome di una realtà più grande che è la comunità, sapendo, come dice Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, che: “Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si deve essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari”. (EG 235)? Ritroveremo il gusto del dialogo, abbandonando per sempre il vizio del pettegolezzo e della critica sterile?

2. Dobbiamo essere cristiani che sanno accogliere: una parrocchia non può accontentarsi di costruire relazioni solo al suo interno, con l’inevitabile rischio di essere una comunità chiusa; deve aprirsi e appassionarsi al cammino di ogni uomo. Chi non frequenta la nostra parrocchia troverà in noi quella rara umanità che permette a un estraneo di sentirsi subito uno di casa? Supereremo il timore di uscire dai nostri ambienti, rinunciando anche a qualche abitudine consolidata, per abitare ogni ambito della vita sociale portando con la nostra affabilità la luce del Vangelo?

3. Non dobbiamo mai dimenticare che Dio non è rimasto nell’alto dei cieli inviando dei messaggi o nozioni da imparare; ha sempre cercato una relazione con noi fino al punto di farsi uomo. Questo vuol dire che Dio non disprezza niente del nostro essere umani, ma ci chiede di vivere in pienezza nel suo amore la nostra umanità. Una volta ho sentito a un funerale una riflessione che diceva che chi piange per un caro defunto non crede nella risurrezione. Affermazione grave e sbagliata! Non dimentichiamo che anche Gesù ha pianto per la morte di Lazzaro. Mi fa paura un’idea di fede che nega la nostra umanità. La fede indirizza tutta la nostra umanità verso la luce di Dio senza cancellarla. Ora chiedo scusa in anticipo a chi ha una sensibilità diversa (e che rispetto), ma mi fanno paura anche certe liturgie dove si valorizza l’assoluta onnipotenza di Dio senza ricordarsi che a celebrare Dio ci sono gli uomini con la loro umanità più o meno santa, con la loro storia più o meno serena. Ricordo un vespero a Loreto con 500.000 giovani da tutta Italia. Chi presiedeva non fece un saluto ai giovani, non disse una parola di incoraggiamento e di esortazione. Una liturgia perfetta! Ma, ahimè, è mancata un po’ di quella rara umanità che avrebbe, forse, anche infuocato la fede di quei giovani. Sapremo ritrovare la forza di una fede che non parla solo alla mente, ma anche al cuore e alla nostra umanità nella sua interezza?

Alla S.S. Trinità, che è comunione perfetta, affido questo secondo punto del nostro protocollo…le relazioni che nascono da una rara umanità!
  

Don Marco

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